I liberatori non esistono. Sono solo i popoli che si liberano da sé.
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- Published on Thursday, 01 December 2011 20:13
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Soteria and no restraint
Merano 21-23 Novembre 2007
I liberatori non esistono. Sono solo i popoli che si liberano da sé.
Emilio Lupo
Direttore S.C. - Dipartimento di Salute Mentale - ASL Napoli 1,ds49
Segretario Nazionale di Psichiatria Democratica.
Quanti, dopo Pinel, si sono interessati della vita e dei diritti di chi esprime il proprio disagio esistenziale attraverso i “sintomi” - che le scelte di codici, normative e pratiche contenitive hanno designato e designano ancora come sola espressione di “semplice” malattia - costoro sanno che la strada per la liberazione dalla psichiatria è lunga ed impervia.
La psichiatria è traboccante di tragiche utopie. Nel corso dei secoli, ahinoi, queste si sono concretate con gli Ospedali psichiatrici e la coercizione fisica, i bagni gelati e le pratiche di shock (insulinoterapia, malaroterapia, elettroshock etc.) fino al moderno annichilimento farmacologico.
I detentori del potere di cura, difatti, si sono sempre mossi sul binario regola/salvezza e limitandosi a modificare di volta in volta soltanto i vagoni di quel treno di cura, ne hanno imposto direzione e velocità con un locomotore che ha finito, nella sostanza, per essere il vettore unico ed immutato per la vita di migliaia e migliaia di uomini e donne ammalate.
Sì perché è stata la malattia, la pericolosità sociale, il pubblico scandalo e l’opportunità a cadenzare il fare per i matti e non l’esistenza sofferente, la difficoltà al confronto ed alla condivisione: a meinteressa il malato e non la malattia ammoniva Franco Basaglia qualche anno fa.
Sul falso storico della incurabilità della malattia, ancora oggi sufficientemente titolato, e su quello esclusivamente tecnico del binomio curare/rinchiudere, si è sviluppata da un lato tutta la legislazione antecedente alla riforma psichiatrica del 1978 nel mentre, dall’altra, continua a vivere ed a esprimersi - con tutta la virulenza di cui è capace soltanto il cieco perbenismo - l’egoismo umano, la sua necessità egoistica di separazione e perciò di creare, ancora e comunque, luoghi riservati per i matti.
Non svii il fatto che molti tra coloro che, oggi, si trovano a dibattere sul tema disagio psichico, escludano, apparentemente, la riapertura dei manicomi, quasi a volersi convince – ad alta voce – che nessuno davvero pensa ad una riedizione degli ospedali psichiatrici: nulla di più falso. E del resto basta leggere le ultime proposte di “miglioramento” della legge 180/78 o le semplici esternazioni di un ministro, in coda al suo mandato, per capire che non c’è da farsi soverchie illusioni: il modello manicomio è ancora nella testa di molti italiani. Lo è per familiari che, se lasciati soli, cercano la via breve della custodia. Lo è per l’operatore pubblico che, stanco della mancata risposta alle proprie richieste di risorse territoriali, finisce, talvolta per mancare al proprio ruolo di trasformatore e di avanguardia. Lo è ancora per quegli operatori che distratti dagli infiniti interessi economici che gravitano intorno alla sofferenza, semplificano ogni loro atto: il tempo dovuto ai pazienti finisce così “rubato” ed utilizzato al contrario a produrre vantaggi personali con interventi finalizzati alla speculazione ed al lucro. Lo è per i politici frettolosi come per quelli che il più delle volte ignorano il problema e nonostante tutto sentenziano, propongono schemi di legge ed appena possibile,cavalcano quella psichiatria dei luttiche riempie le prime pagine dei quotidiani o l’apertura dei telegiornali.
Ecco le nuove proposte che puzzano d’antico. A mimare il diciannovismo del terrorismo verbale borghese:con le richieste di Trattamenti Sanitari Obbligatori (T.S.O.) nelle case - famiglia, ecco le ore d’aria per gli ospiti delle strutture intermedie residenziali ed i reparti di Diagnosi e Cura che dovrebbero ospitaregiocatori d’azzardo, barboni, alcolisti, tossicodipendenti.
E poi, subito dopo, una più che restrittiva legge sulla fecondazione assistita che obbliga, di fatto, le coppie ad emigrare.
E le nuove regoleper i lavavetri: pericolosi figuri che bisogna fermare subito, se non si vuole - tuonano dal governo - assistere ad una deriva autoritaria.
Quel che vado sostenendo è che tutti questi segnali delineano un progressivo depauperamento delle libertà personali in tutto il Paese. Essi non riguardano, com’è noto, solo la sanità e la psichiatria in particolare (guai a pensare per settori, si rimarrebbe ingabbiati, inesorabilmente), ma fanno parte di un disegno più ampio - che mira a sostituire i diritti conquistati negli anni da donne, uomini e dai lavoratori - in nome, e lo si enfatizza, della necessità di far progredire il Paese e/o di non rimanere vincolati in maniera ideologica al passato.
Ohibò!
In questo panorama nazionale, avanza in psichiatria - con punte di vera e propria eccellenza, col segno meno al sud - da un lato la riduzione delle risorse umane ed economiche alle Aziende Sanitarie insieme allo sviluppo di forme opprimenti di precariato nei Servizi pubblici e nella cooperazione sociale e, dall’altro, l’esaltazione dell’offerta del privato mercantile, accolta come fosse risolutrice “nella sua incantevole genuinità postmoderna e riformista”.
Se per i primi le risorse umane ed economiche scarseggiano sempre più, con un tournover quasi inesistente e/o con una sofferenza evidente nelle retribuzioni ordinarie, per gli altri gli investimenti e la puntualità nei pagamenti (almeno in determinati settori ) vanno invece a gonfie vele.
Alcune riflessioni:
1) La psichiatria nella gran parte delle realtà del Paese (non sono escluse le realtà associative) continua a limitarsi al proprio specifico, imbalsamata tra i nuovi farmaci, l’organizzazione burocratica dei propri spazi e Servizi e il riduzionismo di un fare tecnicototalmente avulso dal contesto in cui si vive e si opera. Questa psichiatria non risulta, pertanto, una risorsa collettiva come noi caparbiamente continuiamo a sostenere da anni, tuttaltro;
2) la psichiatria, dapprima con la legge 180/78 poi con i Progetti Obiettivo (nazionali e regionali) invece di esprimere tutto il suo potenziale antistituzionale e di partecipazione collettiva, rischia di non mutarsi giammai in Salute Mentale di comunità, proprio perché resa subordinata a parametri – nel migliore dei casi - semplicemente efficientisti o che si limitano al solo contenimento della spesa;
3) la incapacità a tener dentro – immergendosene fino al collo - i processi di liberazione, in maniera tanto permanente quanto naturale, sentendosi dunque parte della società civile in tutte le sue articolazioni, favorisce irrimediabilmente il predominio del tecnicismo tout court, tutto dentro alla medicina: la pillola della felicità, la necessità di attivare di luoghi contenitivi purché puliti e a norma,la standardizzazione delle risposte, etc..
A questo punto e per l’esperienza maturata negli ultimi trent’anni vogliamo dire almeno due cose:
a) Che la psichiatria clinica e quella farmacologica, da sole,non hanno portato lontano, non hanno risolto. Esse restano segmenti, se non collegate organicamente al contesto nel quale si muovono, e,troppo spesso, si esprimono con una ritualità periodica, figlia dell'idea della ineluttabilità della malattia mentale. E' necessaria, di contro, promuovere con costanza la complessità progettuale ed attuativa in mille altri atti quotidiani, che rivestono grande importanza, come è dimostrato, ampiamente, dalle esperienze maturate in tantissime parti d’Italia, nel corso degli ultimi decenni;
b) Che senza concreti ed autentici percorsi di inclusione sociale - a partire dal fatto di poter vivere una casa propria ed essere inseriti a pieno nel mondo del lavoro - quanti si riferiscono alle strutture socio-sanitarie pubbliche territoriali, rimarranno dei rimorchiati, eterni pazienti o comunque persone azzoppate, dipendenti.
Se la lotta alle contenzioni resta un impegno di lotta forte per le sue ricadute (la salvaguardia dei diritti fondamentali di ciascuna persona) a questo impegno deve, con decisione,affiancarsene uno altrettanto forte ed ampio, ovvero quello di rendere effettivo e permanente il binomio contrattualità/socialità, pensandolo ben oltre il mondo della psichiatria, come orizzonte che accoglie il desiderio all’umana affermazione con un’esistenza liberata, collettivamente, dai bisogni e affermata soggettivamente nel diritto all’espressione delle sue necessità individuali.
L’operatore di Salute Mentale di comunità è uno dei promoter (tra i principali) che si adopera e lavora e mette in campo le proprie risorse intese come sociali, pur non rinunciando al proprio specifico bagaglio esperenziale, né al sapere di cui è portatore, tanto meno al ruolo cosiddetto tecnico: solo così l’operatore potrà sottrarsi, una volta e per sempre, dallo svolgere la parte che il potere gli riserva di volta in volta a seconda del contesto storico-politico: custode, controllore, buonista, efficientista, rigido, facilitatore, superficiale, caldo, freddo, invischiato etc. Tutte queste categorie finiscono - anche contro la stessa volontà degli addetti - per assumere variegate forme di dominio e null’altro.
Il problema da affrontare, per chi scrive, non è soltanto cosa facciamo e forse nemmeno come lo facciamo, bensì qual’è il risultato che si vuole raggiungere. E’ impellente la necessità di agire un discorso netto, che non si presti ad interpretazioni. Ecco perchè alla determinazione per impedire, sempre e per sempre, la contenzione, si deve affiancare e fare strada l’idea che la svolta ci sarà soltanto se i problemi che hanno come nome il disagio, la povertà, l’isolamento e la prevaricazione non saranno più confinati in luoghi deputati ma troveranno spazio in tutte le pieghe della società e se di essi si faranno carico in tanti – ciascuno per la sua parte – piuttosto che soltanto i tecnici e gli addetti.E questo costerà fatica, a partire dagli operatori: noi non siamo dei liberatori, ma compartecipanti di un processo di ridefinizione in termini di potere contrattuale.
E’ giunto il tempo che i diritti fondamentali di tutti gli uomini siano coniugati per intero, piuttosto che i loro brandelli, occorrerà, insomma, che si metta mano allo sviluppo del tutto invece di continuare ad accontentarsi della loro sezione. Diversamente la psichiatria - anche quella che tiene duro e che non ci sta – rimarrà subalterna al potere economico, alla cultura della separazione, seguitando ad assistere – più o meno passivamente – alla incessante trasformazione delle differenze (che sono ricchezza) in rilevanti disuguaglianze (che sono povertà).
Sarà ancora la psichiatria intrisa di una cultura da sala settoria,che si ripropone ed avanza con le aggiornate formule del profitto, da quello farmaceutico fino alle lobby neo-residenziali. Quella psichiatria invocata dal perbenismo diffuso ed annacquata con programmi di tolleranza marginalizzante, che continuerà a procedere a senso unico seppur modulata, ma solo tatticamente, con modalità e rappresentazioni diverse.
Il punto nodale non è solo la singola capacità contrattuale, ma il fatto che si affermi come indispensabile una contrattualità collettiva, dentro la quale ci siano le specificità di ciascuno uomo ed al loro interno il soddisfacimento degli irrinunciabili bisogni. Non il contrario.
Probabilmente oggi quando ci affanniamo a negare le differenze finiamo per sottolinearle, per allargare il fossato e le distanze, dando così spazio - di volta in volta - al pietismo, alla carità pelosa, quando non all’avversione, all’odio, fino alla paura di specie.
E registriamo che, come ieri, sono sempre lì - seppur vestono diversamente e discorrono in maniera apparentemente più pacata - coloro che ne sanno ogni volta più di te, che conoscono la soluzione, sempre e comunque e, come i grandi esperti di cruciverba, incolonnano - uno dietro l’altro - tutti i comandamenti conformisti quali l’ipocrisia, la distinzione, il sospetto e l’allontanamento dell’altro dal contesto.
Si tratta non di rispondere tanto colpo su colpo, dialetticamente, ai detrattori controriformisti, ma attrezzarsi per concretizzare, in forma sempre più pregnante e produttiva, grandi alleanze, tenendo dentro un grande progetto di liberazione giovani, imprenditori,mondo dello sport e dell’artigianato, intellettuali, industriali e classe politica, donne e casalinghe, mondo dell’informazione e pensionati con lo scopo che si possa:
a) Diventare titolari del proprio ruolo all’interno del collettivo, in ragione di un reddito autonomo e sufficiente, contrapponendosi ad una visione della Salute Mentale come orizzonte utopico o, peggio, a semplice dichiarazione di intenti ;
b) Rendere i luoghi di incontro e di confronto sempre più “permeabili aimicroprocessi sociali e culturali del territorio”così che ci si possa prender cura della persona, della sua storia e del suo contesto utilizzando le risorse collettive a sostegno dellacrisiindividuale;
c) Spingere l’esecutivo a riconvertire, significativamente, la spesa sanitaria e quella sociale in modo da poter contare su risorse economiche adeguate ma soprattutto costruire modelli di integrazioni tra loro in tutte le articolate e differenziate realtà politico – amministrative pubbliche.
“ Ciò che io sono e posso, dunque, non è affatto determinato dalla mia individualità... Io sono, come individuo, storpio, ma il denaro mi dà 24 gambe: non sono dunque storpio...” ( K. Marx ).
In conclusione, quanto andiamo sostenendo da anni, ovvero il superamento puntuale dello specifico psichiatrico, non è una negazione apodittica o la nostra maniera per contrastare la semplificazione che si fa della malattia/diagnosi a favore della complessità dell’esistenza umana. Esso è la forma operativa e concettuale della responsabilità comune cui la società deve mirare e della quale farsene carico affinché ci si possa liberare da vincoli economici, fisici, culturali che impediscono ai singoli la piena realizzazione di se stessi e dei loro progetti di vita. Insomma dobbiamo tenere costantemente aperto il canale di comunicazione con tutto quanto il territorio riversa nella nostra vita, tutti i giorni, e nutrircene. Con tutta l’immensa ricchezza e varietà di richieste, sensazioni, esigenze, problemi, sentimenti per fare in modo che la psichiatria non si esaurisca nella psichiatria stessa ma sfoci nella vita. Riconquistando spazi di contrattazione sempre maggiori e liberando tutti i valori dell'alterità, contro le omologazioni che appiattiscono e riducono, progressivamente, gli spazi di ciascuno.
I liberatori non esistono, sono i popoli che si liberano da sè.