riflessioni sul numero verde di ascolto per l'emergenza COVID-19

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Società Italiana di Psichiatria Democratica ONLUS

 

 

Alcune riflessioni sul numero verde di ascolto per l'emergenza COVID-19

Il numero verde di supporto psicologico attivato dal Ministero della Salute e della Protezione Civile introduce una rilevante novità e suggerisce alcune riflessioni.

Dal testo leggiamo che il numero, gratuito, propone una consultazione di primo livello che “punta ad affiancare tutti i servizi di assistenza garantiti dal SSN” da parte di “professionisti specializzati, psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti” attraverso un ascolto telefonico per rispondere al disagio derivante dal Covid-19 fornendo rassicurazioni e suggerimenti “per aiutare ad attenuare l’ansia… e si risolve in un unico colloquio”. Per questa attività saranno impegnati più di 500 psicologi facenti capo al volontariato di Protezione Civile appartenenti ad associazioni specializzate in psicologia dell’emergenza.

Per un ascolto più approfondito e prolungato nel tempo, le telefonate saranno indirizzate “verso il secondo livello di cui fanno parte, oltre ai servizi sanitari e sociosanitari del SSN, molte società scientifiche… anche in base alle loro specificità”. I professionisti offriranno colloqui di sostegno ripetuti fino a 4 volte, via telefono oppure online mirati ad “attivare un processo di elaborazione dell’evento traumatico”. Al secondo livello, si dice, partecipano oltre 1500 psicoterapeuti volontari facenti parte di società scientifiche e facenti parte della Consulta CNOP.

La novità è che si prevede una certa mobilitazione di professionisti dediti all’ascolto psicologico sotto l’egida del Ministero della Salute e quindi il riconoscimento del valore delle competenze psicologiche a livello collettivo in una società avanzata che, sin qui, non ha prestato ufficialmente grande attenzione allo sviluppo di una cultura diffusa dell’ascolto e della riflessione: cittadini più maturi se in possesso di elementi di autoconoscenza e del valore di questa. La Salute, d’altronde, non riguarda solo la dimensione fisica ed organica ma include quella psicologica a tutti i livelli come, d’altra parte ricorda l’OMS quando sostiene che “non c’è salute senza Salute Mentale”. E’ apprezzabile che la complesse reazioni acute e stabili innescate dall’emergenza COVID-19 non vengano pensate come problematiche mediche da affrontare unicamente con gli strumenti della psichiatria somatica.

Ci chiediamo tuttavia perché non venga valorizzata da parte del Ministero la risorsa dei Servizi Territoriali del SSN che costituisce una rete strutturale in tutto il paese. “Affiancare” e “oltre ai servizi sanitari e socioassistenziali” come scritto nel testo di istituzione del numero verde paiono ben poca cosa e, soprattutto, di estrema genericità. Perché non diffondere direttive e indicazioni perché le articolazioni regionali del SSN si attrezzino in maniera sistemica per rispondere alla inevitabile domanda di sollievo e consulenza che la pandemia e le sue conseguenze sociali hanno indotto? Perché non valorizzare quei Dipartimenti di salute mentale che già si sono mossi in questo senso, nonostante siano sguarniti di risorse e personale? Perché non rinforzare con personale qualificato le fila degli psicologi della rete della Salute Mentale che è sin qui è stata abbandonata, immiserita fino alla desertificazione? La politica degli accorpamenti e quella dei rientri hanno ridotto le risorse territoriali fino al limite dell’estinzione: abbiamo visto come la lotta alla pandemia ci ha visti scoperti proprio sul fronte della risposta di medicina territoriale, dei servizi di prevenzione e sanità pubblica delle ASL, della rete dei presidi diffusi, del supporto ai MMG che hanno peraltro pagato un prezzo altissimo in vite umane perché isolati, ignorati nella loro dimensione individuale di lavoro e non inseriti in reti territoriali istituzionali coordinate. La Salute Mentale ha insegnato al SSN a mettere al centro il territorio, le comunità, le risorse umane e strutturali di prossimità. Abbiamo costruito un tessuto di servizi di qualità per poi lasciarlo al suo destino. Forse è ora di tornare a dargli il peso e il valore che avevano permesso di raggiungere alla nostra assistenza alti livelli di efficacia.

Un'altra considerazione di merito riguarda un possibile equivoco tra la Psicologia dell’Emergenza e delle Catastrofi, di cui si è attrezzata la Protezione Civile, e la condizione che andiamo a fronteggiare che ha tutt’altre caratteristiche e richiede altre modalità di intervento. Non è possibile chiamarla di emergenza poiché profila una complessiva modifica dei rapporti umani e delle relazioni, della base strutturale di una società che si ritrova in molte sue componenti impoverita, sospesa nei diritti, impaurita, tentata di credere alle più improbabili promesse pur di non soccombere allo smarrimento innescato dalla pandemia. Si tratta di scenari diversi, di altri strumenti, di contesti differenti. Siamo sicuri che una telefonata di rassicurazione e 4 colloqui successivi non serviranno né ad elaborare perdite umane, né di status, né di potere economico, né di ruoli. I processi elaborativi, che sono sempre individuali anche quando coinvolgono una collettività, richiedono tempi che non corrispondono all’apprendimento di qualche esercizio da ripetere da soli in casa. Da questo punto di vista le uniche strutture in grado di garantire continuità temporale rimangono i Servizi del Servizio Sanitario Nazionale se riforniti del personale adeguato.

Il coinvolgimento di Associazioni professionali di indubbia serietà nel secondo livello di intervento dovrebbe essere una garanzia della consapevolezza che l’ambizione a risolvere in pochi colloqui nodi psichici tanto complessi e dolorosi non sia fondata. Veniamo qui a un altro argomento. I 4 colloqui, pare di capire, saranno gratuiti; poi cosa accadrà? I cittadini in difficoltà si trasformeranno in clienti di studi privati professionali? Non possiamo pensare che questa sia la prospettiva pensata dal Ministero! Non possiamo neppure immaginare che il Ministero della Salute della Repubblica si trasformi in agenzia di lavoro interinale per i tanti, troppi psicologi in cerca di occupazione anche perché impossibilitati a lavorare per i servizi pubblici che al Ministero fanno capo! Una prospettiva catastrofica per il senso stesso di una sanità pubblica universalistica come quella disegnata nella sua legge di istituzione.

 

Come Psichiatria Democratica riteniamo di avere i titoli culturali, storici, scientifici e politici per avanzare alcune proposte.

  1. I fondi a disposizione per la Sanità, anche di provenienza europea, dovranno essere impiegati appropriatamente per rinforzare la rete territoriale di servizi, base fondante per una sanità pubblica evoluta ed efficace. L’impiego di risorse economiche non dovrà pertanto concentrarsi sugli ospedali ma sui presidi di territorio così come previsto dalla legge 833. Questo principio vale per la medicina come per le più complesse pratiche della Salute Mentale.
  2. Il generoso apporto di competenze da parte di qualificate Associazioni professionali del campo psicologico e psicoterapico dovrà coordinarsi, secondo linee ben chiarite, con la rete assistenziale del SSN adeguatamente rinforzata in quanto unica a garantire la reale e necessaria continuità degli interventi.
  3. Le fasi successive a quella emergenziale della pandemia richiederanno una riorganizzazione delle reti territoriali che valorizzi quelle esperienze già avviate in risposta al COVID-19 su tutto il territorio nazionale e le faccia diventare punti di riferimento per lo sviluppo di strumenti operativi e di interventi condotti da personale motivato e competente.
  4. Le azioni che verranno messe in atto non potranno limitarsi ad approntare una risposta psicologica alle conseguenze della pandemia. Se è scontato che affioreranno disagi individuali in questa nuova dimensione, una parte significativa delle reazioni personali e collettive avranno profonde connessioni con la riproduzione materiale della vita, con il lavoro e le sua mancanza, con le nuove povertà, con le modificazioni degli assetti relazionali familiari. Saranno necessarie iniziative specifiche, coordinate, rispettose dei contesti e delle loro diversità che riguardino la vita delle persone, la loro capacità di reintegrarsi in un’esistenza produttiva, aggregarsi, di mettere a frutto reti di solidarietà. Il ruolo sociale dei servizi pubblici come luoghi di mediazione e articolazione di problemi e risorse è fondamentale. Solo in tal modo si sventerà il pericolo di protrarre nel futuro le condizioni di disagio che si sono già manifestate nella popolazione e quelle che ancora emergeranno nel prossimo futuro. 

Antonello d’Elia