due proposte:la stessa logica

opgOPG: DUE PROPOSTE DI LEGGE, LA STESSA LOGICA

di Cesare BONDIOLI (Resp. Nazionale Carceri e OPG di Psichiatria Democratica)

Due recenti iniziative parlamentari hanno destato preoccupazione per il futuro della salute mentale: la ripresa da parte della maggioranza della P.d.l. 2233 (già presentata nel 2014) Norme per valorizzare, in continuità con la legge 13 maggio 1978,n. 180, la partecipazione attiva di utenti, familiari, operatori e cittadini nei servizi di salute mentale e per promuovere equità di cure nel territorio nazionale” e l’approvazione di un emendamento al D.L. 2067 - “Modifiche al codice penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi nonché all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena” – che di fatto svuota dei suoi contenuti la legge 81 riportando la situazione dell’applicazione delle misure di sicurezza al regime dei soppressi opg.

La cosa che colpisce e che costituisce un elemento comune alle due iniziative parlamentari, per quanto provenienti da diverse forze politiche (una farina del sacco della maggioranza l’altra da questa accolta in commissione su proposta di un’esponente del gruppo Misto), è che entrambe si dichiarano programmaticamente in continuità con la normativa vigente – per una la 180 per l’altra la effettiva chiusura degli opg e l’attuazione dell’art.32 della Costituzione – di cui auspicano una più piena attuazione.

Entrambe le proposte tuttavia prescindono da una analisi della realtà esistente che per la PDL 2233 è superata da affermazioni generiche (per non dire “buoniste”) sull’obbiettivo di – “…tracciare la cornice di un sistema di buona salute mentale che facesse del pensare positivo, del « fare assieme » tra utenti, familiari, operatori e cittadini, dell’incontro tra saperi, della guarigione sempre possibile e del miglioramento continuo della qualità prestazionale i suoi riferimenti portanti…”.

E’ noto che in questi anni tutti i soggetti coinvolti nella salute mentale - operatori, associazioni di familiarie utenti, associazioni politiche e scientifiche – hanno a più riprese denunciato le difficoltà ingravescenti con cui si sono dovuti confrontare i servizi di salute mentale, dal definanziamento alla progressiva riduzione degli organici e al sempre più frequente spostamento di risorse dal pubblico al c.d. privato-sociale e oggi anche a quello profit; né si fa alcuna analisi del perché “…in alcune aree del Paese lo spirito e i princìpi della legge 180 sono compiutamente realizzati e dal dato altrettanto vero che in molte parti del Paese la qualità dell’assistenza psichiatrica lascia a desiderare non poco…” ; né è sufficiente auspicare, per legge, richiamando il massonico ottimismo della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America al diritto alla ricerca della felicità, il “ … il diritto alla fiducia e alla speranza per tutti gli utenti e i familiari che frequentano i servizi di salute mentale …”: questo è vero e proprio paternalismo manicomiale ((af)-fidati di me che so quale è il tuo bene e se non lo so io lo sa certamente la tua mamma! Via siamo seri!!).

D’altra parte cosa ci si può attendere da una legge priva di copertura finanziaria? Solo buone intenzioni, miglioramento degli ambienti di lavoro dei DSM (pure necessario) o peggio che il personale mancante sia sostituito dagli UFE?

Una critica puntuale alla legge nel suo complesso è stata formulata da diversi punti di vista e con diverse sfumature: si vedano gli interventi di L. Benevelli sul sito del Forumsalutementale o di Pullia e Gasperoni e di Antonello D’Elia su quello di Psichiatria Democratica, cui si rimanda; quello che è da respingere è il tentativo sempre pericoloso toccare una legge “giusta” che significa, comunque, metterne in discussione i principi: si vedano la “disponibilità” a ridiscutere, in prospettiva, questioni come i Trattamenti e gli accertamenti Obbligatori e l’abbandono della titolarità del Dipartimento di salute Mentale sul territorio a proposito dei trattamenti ospedalieri (articolo 10: “ricovero presso un SPDC di un ospedale individuato dall’autorità competente” – anche una clinica privata ) e “aprire” a revisioni (queste non sono mancate negli anni passati, con proposte che in parte riecheggiano anche nella presente p.d.l – ricordiamoci del “contratto di Ulisse”, il c.d. contratto terapeutico prolungato della proposta Ciccioli - che la mobilitazione del movimento ha contribuito ad affossare).

Di ben altro ci sarebbe bisogno dopo questi anni di denunciato abbandono della “gestione” (politica) della 180: se il governo ne ha la capacità convochi una nuova Conferenza Nazionale per la Salute Mentale (la prima non ha avuto seguito specie laddove prevedeva il costante monitoraggio del progetto obbiettivo, il coordinamento interministeriale delle politiche di salute mentale, il monitoraggio dei finanziamenti, ecc.): avremo così un quadro aggiornato dello stato dei servizi (oggi non sono disponibili dati certi su nessuna delle attività della salute mentale) da cui derivare un nuovo Progetto Obbiettivo fondato sulla realtà e non su buoni sentimenti o su complementi d’arredo.

Nella stessa logica di proporre prescindere dalla realtà e in dispregio delle leggi vigenti per quanto se ne affermi il rispetto e la continuità nella proposta, è la vicenda dell’emendamento approvato in Commissione Giustizia del Senato che ridefinisce la tipologia dei soggetti destinati alle REMS (dando al Governo la delega attuativa). Attualmente, l’invio nelle REMS, è normato nel modo seguente: “…“Il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale…”: appare evidente che l’invio, a mente delle ripetute sentenze della Corte Costituzionale, costituisce una misura estrema (residuale) volta a garantire il trattamento sanitario dell’infermo autore di reato.

L’emendamento approvato dispone invece: tenuto conto dell’effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e dell’assetto delle nuove REMS, previsione della destinazione alle residenze di esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) prioritariamente delle persone per le quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale, nonché dei soggetti per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisoria e di tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari alle quali sono destinati non siano idonee, di fatto, a garantire i trattamenti terapeutico – riabilitativi, con riferimento alle peculiari esigenze di trattamento dei soggetti e nel pieno rispetto dell’articolo 32 della Costituzione“.

Appare scontato che “aprire” le REMS ai detenuti con sopravvenuta malattia mentale (ex art.148 c.p.) e a coloro di cui occorra accertare le condizioni psichiche (sostanzialmente per perizia) ricreerà in queste la stessa funzione degli opg in barba al loro “effettivo superamento” : allora sì che saranno mini-OPG!

E’ evidente che nel proporre e nell’accogliere l’emendamento non si è tenuto in nessun conto la realtà delle REMS: già oggi, pur con una legge più restrittiva, ne viene fatto un uso eccessivo tanto che vi sono, come riferito nella relazione al parlamento su superamento degli opg, 195 soggetti in attesa di entrarvi per mancanza di posti disponibili.

Rimanendo all’interno di questa logica riformista, senza cioè affrontare il tema dell’imputabilità - l’emendamento approvato non è la strada per applicare la legge ma per affossarla e appare condivisibile la riformulazione che ne fa Daniele Piccione (“nella prospettiva dell’effettivo e definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, introduzione di disposizioni volte a destinare alle residenze di esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) le sole persone per le quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale  e il conseguente bisogno di cure psichiatriche; esclusione dell’accesso alle REMS dei soggetti per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisoria e di tutti coloro per i quali ancora occorra accertare le relative condizioni psichiche; sviluppo ed implementazione delle sezioni degli istituti penitenziari garantendone l’effettiva idoneità a garantire i trattamenti terapeutici e  riabilitativi, con riferimento alle peculiari esigenze individuali di ciascun soggetto e nel pieno rispetto degli articoli 27 e 32 della Costituzione; valorizzazione dell’istituto del piano terapeutico individuale per ciascun individuo sottoposto a misura di sicurezza anche non detentiva; sviluppo del principio di eccezionalità nella comminazione delle misure di sicurezza di carattere maggiormente afflittivo della libertà personale, con particolare riferimento alla previsione di un novero di fattispecie criminose di rilevante gravità per le quali sole ammettere le misure coercitive dell’infermo di mente non imputabile; introduzione di apposite disposizioni volte a garantire la continuità delle cure e dei processi di riabilitazione in chiave integrata da parte delle REMS e dei servizi territoriali che fanno capo ai Dipartimenti di salute mentale”..

Inoltre se si voleva fare un intervento incisivo, che tenesse conto della realtà andata strutturandosi in questo primo periodo di attivazione delle REMS, si sarebbe dovuto intervenire,

come sosteniamo da sempre, per rendere effettiva la collaborazione tra magistratura e servizi di salute mentale in tutte le fasi dell’iter giudiziario, rendendo obbligatoria – in tutte le Regioni/Asl e distretti giudiziari - la pratica dei Protocolli di intesa volti a rendere effettiva la presa in carico dei cittadini autori di reato e affetti da disturbi psichici attraverso la formulazione di un progetto terapeutico personalizzato sul territorio (ribadito più volte nei documenti ufficiali di Psichiatria Democratica e, da ultimo, da Emilio Lupo e Salvatore Di Fede sul quotidiano la Repubblica), concordato con i magistrati, che individuando il percorso terapeutico-riabilitativo territoriale rendesse effettivo il ricorso all’invio in REMS solo come extrema ratio.