Il documento del Comitato per la difesa della Sanità pubblica(Venezia)

Il documento del Comitato per la difesa della Sanità pubblica(Venezia) da Guido Pullia Recentemente abbiamo riscontrato che sulla stampa locale, anche a seguito di recenti tragici avvenimenti, si è riaccesa l’attenzione sulla psichiatria. E’opportuno, perché il tema della salute mentale è davvero molto importante e ci mette tutti in discussione anche oltre gli aspetti meramente sanitari del problema. Sgomberiamo il campo da un possibile convincimento, che forse è ancora presente in una parte dell’opinione pubblica, sulla mancanza di strutture di degenza a tempo pieno dopo il superamento dei manicomi: ad oggi i posti letto psichiatrici, sommando a quelli ospedalieri e nelle Cliniche private quelli nelle Comunità Terapeutiche e nelle Comunità Alloggio, sono molto superiori numericamente, anche in proporzione alla popolazione generale, a quelli degli ospedali psichiatrici alla data del 1978 (quando fu varata la legge “Basaglia”). Quindi il problema non è quello di non disporre di strutture “24 ore” per persone “difficili”. Il problema non è nemmeno quello della “pericolosità”, concetto di molto problematica definizione, addirittura scientificamente non definibile secondo la più recente letteratura e senz’altro non attribuibile esclusivamente alla malattia mentale in quanto tale (caso mai al singolo soggetto, ma in maniera dubitativa in quanto legato alla “prevedibilità” di atti che sono comunque determinati da più fattori, che mai prescindono dal suo contesto di vita). Questo va detto anche a proposito del – finalmente – definitivo superamento dei manicomi criminali (altrimenti chiamati ospedali psichiatrici giudiziari- OPG -), istituzioni assenti in quasi tutti i paesi per il semplice motivo di buon senso che se uno è malato va curato e se è un criminale va punito per il reato commesso e non per altro. Comunque le persone venete attualmente sottoposte a questo regime di sicurezza sono talmente poche che se le ULSS se ne facessero direttamente carico non dovrebbero occuparsi di numeri superiori alle dita di una mano, a fronte delle migliaia di assistiti psichiatrici in ogni ULSS. Quindi il problema non è dove mettere le persone ma cosa fare per loro e per i loro familiari. Le REMS (acronimo che significa Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) sostituiscono oggi, per legge i suddetti OPG. Ma non va bene che si pensi a spendere moltissimo per assistere poche persone per una loro sistemazione “alberghiera” senza aver prima avuto un’interlocuzione dettagliata e precisa tra Regione, ULSS, dipartimenti di salute mentale sui progetti di presa in carico di chi ne sarà ospite. In altri termini, meglio occuparsi di “cure”: un progetto terapeutico-riabilitativo individuale dovrà costare anche molto per le persone più problematiche: come avviene per tutte le malattie ci sono quelle più lievi che alla comunità “costano” poco, ed altre per cui bisogna prevedere di stanziare cifre molto più elevate. Qui si pongono due problemi: quello di una reale integrazione sociosanitaria tra i Dipartimenti di Salute Mentale (che fanno capo alle ULSS) e la comunità (enti locali in primis) e quello della qualità dell’assistenza psichiatrica che abbisogna di competenze adeguate (non basta “appaltare” assistenza né si devono “scaricare altrove” i propri assistiti: bisogna che ci sia la capacità clinica e relazionale di applicare gli obiettivi di cura definiti dall’équipe titolare della presa in carico, che non può essere che quella del Centro di Salute Mentale di competenza). E’ anche fondamentale che sia costante la discussione sugli “incidenti” – anche su quelli “inevitabili” forse si sarebbe potuto far meglio - aprendo un serio confronto in équipe, come dimostra, in altro campo, la riduzione degli incidenti chirurgici quando il gruppo di lavoro si riunisce per un miglioramento costante della qualità. E’ importante che i dipartimenti non rispondano alle difficoltà operative riducendo i diritti dei malati che hanno in carico, raddoppiando le “misure di sicurezza” a scapito dei progetti riabilitativi. Occorre che il confronto con la magistratura e con l’opinione pubblica (che a volte spinge in quella direzione) non porti ad una medicina “difensiva” che sarebbe disastrosa per la qualità delle cure. E’ necessario che siano elaborati (e soprattutto si realizzino) Piani di Zona in un confronto con il Comune, i familiari e tutti i soggetti e le persone interessate ai diritti del malato per un miglioramento continuo dell’assistenza psichiatrica. Comitato per la difesa della sanità pubblica Venezia, 20/01/16