“La prima guerra mondiale:salute, malattie, sanità e assistenza”.

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Resoconto del Convegno:

“La prima guerra mondiale:salute, malattie, sanità e assistenza”.

Torino 6 novembre 2015

Inviato da Ezio Cristina e Luciano Sorrentino

Lo scorso 6 novembre 2015 si è tenuto a Torino il convegno di studi del CISO-Sezione piemontese, dal titolo “La prima guerra mondiale: salute, malattie, sanità e assistenza”. Il convegno, preparato con la collaborazione dell’ALMM (Associazione per la lotta contro le malattie mentali), di Psichiatria Democratica, e con il patrocinio della Regione Piemonte e dell’Ordine dei medici della Provincia di Torino, è il secondo che il CISO-Piemonte organizza in epoca recente, dopo quelli fatti negli anni Ottanta del secolo scorso.
Per chi non lo conoscesse, il CISO, ossia Centro italiano di storia sanitaria e ospedaliera, è stato fondato da Corrado Corghi negli anni Cinquanta del Novecento per incrementare e diffondere le ricerche storiche e gli studi relativi a problemi sanitari, ospedalieri e assistenziali. Compito del Centro è anche quello di procedere alla ricognizione, alla conservazione e allo studio di fondi archivistici e librari inerenti alla storia sanitaria e ospedaliera. La sezione piemontese del CISO, emanazione di quello nazionale, è stata appunto costituita nel 1981, grazie all’iniziativa di docenti universitari, studiosi e ricercatori di storia sanitaria e amministratori locali, e negli anni ha promosso diverse ricerche, dibattiti e pubblicazioni.
Il convegno sulla prima guerra mondiale nasce nel contesto degli eventi celebrativi del centenario della grande guerra, sorti un po’ ovunque e per iniziativa di università, associazioni culturali, enti locali e così via. Il nostro Centro, ovviamente, interviene nel complesso degli eventi per la parte di sua competenza, cioè per quegli aspetti della guerra e della relativa epoca che riguardano i problemi sanitari, le diverse malattie nate e sviluppatesi nell’ambito del conflitto, le cure applicate e quelle per così dire prodotte dalla guerra stessa, le strutture sanitarie e ospedaliere, le conseguenze sulla salute delle popolazioni e quant’altro legato agli ambiti degli interessi del CISO.
Dopo i saluti del presidente del CISO-Piemonte, del Vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte, dott. Nino Boeti, e del rappresentante dell’ALMM, sono stati proiettati alcuni filmati originali dell’epoca relativi a militari colpiti da psicosi di guerra e ricoverati in manicomio. Quindi hanno fatto seguito le relazioni, in gran parte frutto di ricerche originali di archivio o su documenti e giornali dell’epoca.
Il primo intervento è stato del dottor Calogero Baglio, responsabile della biblioteca e dell’archivio dell’ex ospedale psichiatrico di Collegno. La costituzione della biblioteca medica, che custodisce importanti testi sulle malattie mentali, risale ai primi dell’Ottocento, mentre l’archivio storico, fondamentale per lo studio dell’istituzione manicomiale, per ricostruirne le vicende storiche e l’identità, raccoglie migliaia di documenti, come le cartelle cliniche e i fascicoli personali dei ricoverati.
In successione, i ricercatori del CISO-Piemonte Franco Plataroti e Lucia Martinet hanno analizzato alcune storie dei cosiddetti “scemi di guerra”, reperite nei faldoni del manicomio di Collegno, ossia di quei soldati colpiti dai traumi della guerra. Infatti, la guerra 1915-1918, prima grande guerra della modernità, oltre a determinare una carneficina in termini di morti, feriti e mutilati, ferì il soldato, di truppa o ufficiale che fosse, pure nell’anima, nella psiche, e lo gettò in una condizione mentale ignota alla medicina del tempo: in una follia tragica, drammaticamente sconvolgente la loro mente e il loro corpo, che in definitiva assunse il significato di un’estrema e per molti irreversibile fuga da quella follia collettiva che fu ed è la guerra.
Sullo stesso tema, ma più da un’angolazione medica, sono intervenuti Ezio Cristina e Luciano Sorrentino, psichiatri e membri del CISO-Piemonte, che hanno illustrato come la psichiatria del tempo avesse cercato di affrontare la nuova malattia dei sodati colpiti da psicosi di guerra. Attraverso l’analisi degli articoli pubblicati in quegli anni sulle riviste specialistiche è risultato evidente come si fosse aperto un lungo dibattito, con posizioni anche contrastanti, fra gli psichiatri per capire la natura e le origini dei disturbi manifestati dai soldati traumatizzati da bombardamenti, assalti e altri fatti di guerra, e per discutere quali terapie mettere in atto per curarle.
La studiosa firmana Fabiola Zurlini ha presentato una relazione nella quale ha tratteggiato la singolare figura di un’infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana nella grande guerra: la fiorentina d’adozione Nerina Gigliucci. Decorata al valor militare, essa ha operato in diverse zone di guerra e ha lasciato ampie testimonianze della sua esperienza e di quella delle sue colleghe infermiere volontarie.
Alessandra Marcellan, del CISO-Piemonte, si è soffermata sul tema della guerra, le donne e il manicomio. La grande guerra ha rappresentato per le donne una cesura col passato perché, proprio durante la guerra, esse diventarono le nuove protagoniste della vita sociale ed economica della nazione. Ma vissero anche il dramma, tutto interiore, della sofferenza, dell’ansia e del lutto per i loro uomini al fronte. Molte non ressero allo stress e per questo furono ricoverate in manicomio, così come molte altre, provenienti in qualità di profughe dai territori invasi dagli Austriaci dopo Caporetto, furono ugualmente internate in quanto vittime violate nell’anima e nel corpo in quel tragico contesto bellico.
Il professor Vittorio Sironi, storico della medicina presso l’Università Milano Bicocca, ha mostrato come la prima guerra mondiale abbia rappresentato un drammatico laboratorio vivente per la medicina, che ha “utilizzato” i tragici risvolti sanitari del conflitto per “sperimentare”, durante e dopo gli anni di guerra e in vari ambiti, l’efficacia di strategie preventive, di rimedi terapeutici e di interventi riabilitativi. Dalla sieroterapia antitetanica e antidifterica ai vaccini contro il tifo e il colera, dalle nuove strategie terapeutiche per le nevrosi e psicosi postraumatiche alla creazione di nuove protesi per gli invalidi e i mutilati, la medicina seppe trarre indubbi vantaggi dalla sconvolgente vita in trincea di milioni di soldati combattenti. Ne scaturì un panorama sanitario che, nonostante le ambiguità scientifiche e i limiti etici del suo operare, è in grado di trasformare l’orrore degli scenari di guerra nella speranza di un mondo di pace.
Lo psicanalista Ugo Corino ha approfondito, nella sua relazione, alcuni aspetti del rapporto tra guerra e psicoanalisi, già peraltro messo a fuoco dallo stesso Freud. L’esperienza di alcuni medici psichiatri con formazione psicoanalitica, inseriti negli ospedali militari, ha potuto facilitare lo studio di quelle che verranno definite come nevrosi di guerra, comparate con le nevrosi isteriche. Riflessioni che condurranno negli anni successivi ad approfondimenti circa la distruttività umana e i fenomeni collettivi.
L’influenza di spagnola a Torino e in Piemonte è stato oggetto dell’intervento di Franco Lupano, medico, del CISO-Piemonte. L’indagine, condotta soprattutto attraverso i giornali dell’epoca, settembre-dicembre 1918, in particolare “La Stampa” e “La Gazzetta del Popolo”, ha evidenziato gli atteggiamenti ufficiali delle amministrazioni pubbliche, e quindi dell’opinione generale, verso un evento eccezionale, l’ultima vera pandemia della storia che colpiva una popolazione stremata da più di tre anni di guerra. Dalla ricerca sono emersi alcuni punti essenziali: il sistematico tentativo di ridimensionare il fenomeno morboso riconducendolo alla normale epidemia di influenza annuale; la necessità di comunicare misure particolari come la chiusura di teatri e cinematografi, la proroga dell’apertura delle scuole, disposizioni che erano in evidente contrasto con il messaggio tranquillizzante che si voleva trasmettere alla popolazione; il ripetersi di consigli di prevenzione personale e di igiene, tendenti a far ricadere sull’individuo singolo la responsabilità del contagio; e infine il tentativo di nascondere la vera causa della morte di personaggi più o meno noti, attribuendola a un’imprecisata “breve e improvvisa malattia” o “rapido e crudele morbo”. Quello che emerge è dunque un maldestro tentativo di disinformazione, finalizzato soprattutto ad evitare fenomeni di malcontento se non di aperta ribellione, rischio tutt’altro marginale nel perdurare del periodo bellico.
Attilio Bassignana, medico pediatra, del CISO-Piemonte, ha scoperto negli archivi del manicomio di Collegno la presenza, anche in epoca recente, di ricoverati minorenni e persino bambini di due, tre anni. Le cartelle cliniche, peraltro molto povere di elementi che giustificassero tali incredibili ricoveri, hanno in genere confermato il convincimento che a portare al ricovero fossero solo le situazioni economiche e sociali della famiglia, aggravate da una supponente ignoranza scientifica, medica e psicopedagogica, ma ancor più da una gravissima insensibilità etica dei medici preposti all’esame dei bambini.
L’ultima relazione presentata è stata quella di Marco Galloni, docente alla Facoltà di Veterinaria, del CISO-Veterinaria. Egli ha analizzato il ruolo che ebbero gli animali nel corso della prima guerra mondiale, un ruolo sicuramente importante, se non fondamentale per certi aspetti e settori. Come esempio, si possono citare i cavalli utilizzati direttamente sui campi di battaglia e come animali da traino, i muli in montagna e non solo, i cani utili soprattutto a ricercare i feriti, i piccioni per trasmettere messaggi ma anche per fare fotografie aeree. Gli animali, come gli uomini, furono sottoposti anch’essi all’aggressione delle nuove armi che la tecnologia aveva introdotto, quali i gas velenosi ed episodi di guerra biologica, per cui si dovettero studiare rimedi e nuove soluzioni, che poi vennero anche estesi e adattati ai combattenti uomini. Il relatore ha poi anche percorso brevemente la storia del Corpo veterinario militare, fondato nel 1833 per l’esercito sabaudo e in seguito entrato nell’esercito del nuovo Stato italiano; i veterinari militari hanno dunque partecipato con forte presenza e molte responsabilità alla Grande Guerra, al pari dei loro colleghi medici.
Le relazioni sono state seguite da un pubblico attento, non solo per l’interesse in sé, ma anche per essersi appoggiate ad una documentazione originale d’archivio. Inoltre hanno anche aperto nuove prospettive e filoni di indagine e di studio, sulle varie tematiche emerse, che sicuramente il CISO-Piemonte affronterà nel prosieguo delle sue attività di ricerca.
                                                                                                             Giacomo Vaccarino
Presidente CISO-Piemonte
Per informazioni:
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www.cisopiemonte.it