intervento di S. Di Fede

 

 

Scegliere con l’ascolto attivo dell’altro il potere trasformativo della comunicazione del disagio e del dolore, che crea l’altro modo di pensare al nostro essere associati nella civiltà umanizzante che, in risposta, proviamo a costruire di volta in volta contro il prevalere, al contrario, della cupidigia che è nel dominio: per pretendere oltre quel che si possiede, contro la libertà di tutti di ricevere per sé e per le proprie necessità vitali… Gli operatori della salute mentale o costruiscono percorsi di comunità o non sono:  restando muti e rigidi nella propria incapienza esistenziale… Facendosi però, per questa afasia culturale, servi sciocchi del dominio del farmaco e delle sue carceri…

 Un operatore della Salute Mentale o è un operatore sociale, della trasformazione sociale e dell’invenzione creativa o sceglie di essergli, di fatto, contro e dunque farsi nostro nemico: un oppositore ideologico e armato, che ci obbliga a stanarne la natura violenta e il suo irriducibile ostacolo.

La nostra crisi attuale sta tutta qui: il rischio, giunti a questo punto del cammino per l’attuazione della riforma, è che il movimento rifluisca nell’idea che lo scontro è per noi impossibile, noi che ci sentiamo in pochi e dispersi, schiacciati quotidianamente dalle mille cose che occorre fare in assenza degli altri.

 Errore strategico: in questi anni abbiamo costruito non solo percorsi di uscita dalla crisi individuale, abbiamo anche fatto esperienza che in questa ricerca di salute e di felicità era necessario incontrare gli altri soggetti organizzati e che senza di loro quelle soluzioni non sarebbero state possibili.  Le persone, utenti dei Servizi, le loro famiglie, le associazioni, le emergenze sociali affrontate da cittadini organizzati, le esperienze e le opere concrete del nostro accogliere e sostenere persone in difficoltà, le nostre competenze politiche nel difenderne i diritti e per inventare livelli di avanzamento della capacità contrattuale complessiva, pure a partire dal disagio mentale, sono le risorse non solo reggere per lo scontro, ma pure per vincere quelle resistenze al cambiamento.

Davanti a Psichiatria Democratica  c’è ancora una volta la lezione di quel muro da abbattere, un muro che se non “sciarmato” ci rinchiuderà tutti, “designati” e “non designati”, dentro la perdita di senso del nostro lavorare per l’umanizzazione della crisi e per la sua lettura rivoluzionaria  del mondo: dobbiamo, al contrario rimetterci al centro delle nostre vite, che sono anche la passione per il nostro impegno di operatori della salute mentale, e riprenderci il futuro con chi non ha più speranza di averne uno da vivere: la lotta contro tutte le ingiustizie ci guiderà e dovremo essere lì dove esse si perpetreranno, riaffermando la libertà dal bisogno e per la felicità che sono invece diritti di ognuno (…)”.