intervento di L. Attenasio

NESSUNA POESIA CAMBIA IL MONDO MA PUO' SVELARNE LA BELLEZZA

Cominciamo con l'attualità: tra poco, a fine Maggio,  ci saranno le elezioni europee e non possiamo non ricordare i nostri due viaggi al Parlamento europeo "per una Europa senza manicomi".


 

Erano stati i pazienti stessi meravigliati della non esistenza dei manicomi solo in Italia a spingerci a organizzare i due viaggi poi noti come quelli dei "44 matti" sulla strada di Strasburgo e Bruxelles. In fondo la stessa vita di Basaglia, come quella di ognuno di noi, o quella di Psichiatria Democratica in  questi 40 anni è stata un viaggio per ripensare e cercare di comprendere a pieno il significato dell'umano. E quelli furono il viaggio di una idea, un progetto di pace e solidarietà che portavamo in Europa a partire da una specificità, la nostra, costruita sulla verifica collettiva della sofferenza, dei bisogni, delle critiche degli internati  (ricordiamo con grande affetto l'esperienza delle assemblee generali per quelli che c'erano e che l'hanno vissuto o tutte le iniziative collettive presenti al di fuori di quelle che vennero chiamate le esperienze esemplari. In esse parlava una molteplicità di voci, quelle dei medici, degli infermieri, delle persone comuni, ma soprattutto gli internati. Fu Impresa collettiva, come la chiamò Agostino Pirella). Consapevoli, come sempre Psichiatria Democratica lo è stata, che parlare della follia era parlare della miseria, dello sfruttamento, delle ingiustizie, della esclusione, con i suoi nessi e connessi, avevamo sentito la necessità di rilanciare la nostra utopia, fatta di diritti e libertà, di saperi assoggettati, squalificati, disinsabbiati, i saperi della gente, direbbe Foucault, un sapere particolare, locale, regionale, un sapere differenziale, incapace di unanimità e che deve la sua forza solo alla durezza che oppone a tutti quelli che lo circondano. E' attraverso questo sapere che si è operata la critica. Questa utopia, la riproponevamo ad "altri lontani" a partire da, e partendo con, gli ultimi.  Riprendevamo un progetto che era stato lanciato da un manifestino del 92 "Che Europa vogliamo/Lettera per Leros" che Agostino Pirella ci aveva fatto pervenire quando avevamo cominciato a pensare di superare i nostri confini. Era un progetto di deistituzionalizzazione e riabilitazione con il sostegno di quella che allora si chiamava CEE per un luogo, Leros, dove esistevano se così si può dire, mucchi umani in luride tane, donne e uomini nella paura totale, condannati al silenzio assoluto, a vivere come morti ma vivi, con corpi ormai deformi, da troppo tempo immobili e rinchiusi. Ma allora, ci fece sapere Pirella, "la psichiatria ufficiale e i poteri locali non ne vollero sapere". Andammo nel periodo (nel Lazio regnava Storace) in cui a qualcuno (leggi Burani Procaccini) era venuto in mente di riproporre in Italia la riapertura dei manicomi (ma quando mai questo non è avvenuto da quel Maggio 1978?). Eravamo in controtendenza ma sapevamo che la quasi totalità dei paesi europei, ho fato di recente una esperienza a Berlino e vi assicuro che l'assistenza psichiatrica nella "locomotiva" dell'Europa ha per riferimento il paradigma dell'internamento a vita per problemi psichiatrici. Altro che primato terrutoriale!!! Il che significava che in Europa erano recluse centinaia di migliaia, forse uno, due milioni di suoi cittadini, malati e mortificati. Il che strideva con gli obbiettivi della UE, la protezione sociale, la dignità, la libertà, la democrazia, l'uguaglianza, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, sanciti nella Carta europea dei diritti fondamentali.

Già allora avevamo sentito degli scricchiolii che stavano portando alla sottomissione della società agli interessi del ceto finanziario. Nulla del progetto originario di quella Europa concepita dai costituenti dopo la seconda guerra mondiale che superava i nazionalismi per una identità comunitaria fondata sui principi di umanesimo e giustizia sociale, visione e sogno di un mondo di pace. E invece si affermava il dogmatismo neoliberista e monetarista con il diktat della classe finanziaria sugli interessi della società con peggioramento delle condizioni di vita, aumento della disoccupazione, smantellamento delle strutture della vita civile e delle strutture  sociali, un impoverimento generalizzato. Il massacro, la strage degli innocenti che si sta verificando in Grecia, e non lo diciamo noi ma The Lancet, la più autorevole rivista medica del mondo, è sotto gli occhi di tutti. La mortalità infantile è quasi raddoppiata, il numero dei bambini che nascono sottopeso è cresciuto del 19%, quelli nati morti sono il 20% in più perché le cure mediche prenatali costano troppo. L'incidenza della tubercolosi è più che raddoppiata in un anno. Le siringhe monouso e i preservativi per i tossicodipendenti sono state tagliate e l'Aids è cresciuto in pochi anni. I diabetici debbono scegliere tra comprare l'insulina o comprare cibo per la sopravvivenza. Il numero delle persone che vanno ai Centri di salute mentale è aumentato del 120%. Significa una catastrofe del benessere psichico del paese e non so se ci rendiamo conto che ad Atene è stata chiusa l'Università e un certo numero di cittadini si infetta apposta col virus dell'AIDS per avere benefici economici dal Governo. Eppure Olli Rehn, commissario di guardia alla gabbia rigorista, continua in modo diabolico nella disastrosa politica del rigore e la Troika (Banca Centrale Europea, Commissione europea, Fondo monetario internazionale)  ad Atene annuncia ulteriori prossimi tagli per miliardi di dollari. Ciò addolora anche per un motivo simbolico: lì è nata la nostra civiltà.  Siamo contro gli antieuropeisti a tutti i costi, quelli delle sovranità nazionali ma siamo anche contro il mantenimento dello statu quo. Ci piace il recupero dell'idea di Europa dei padri fondatori che pensavano che l'integrazione economica fosse il primo passo per una piena integrazione politica. David Held, importante economista, afferma convinto: "Un' altra finanza è possibile, una finanza capace di generare valore sociale e ambientale, di fare profitto inteso anche come strumento per migliorare le condizioni in cui viviamo tutti, di costituire un antidoto alla minaccia della disoccupazione giovanile che affligge le democrazie contemporanee".

 Anche se in Italia la situazione è meno tragica è comunque drammatica (è stato incardinato nella Costituzione il pareggio di bilancio!!!) per l' impoverimento che appare inarrestabile, la disoccupazione in costante crescita soprattutto giovanile e 9 milioni che vivono in povertà relativa e 5 milioni in povertà assoluta. La previsione è che il patto di stabilità porterà a uno spostamento progressivo e gigantesco di reddito dalla società verso il sistema finanziario. I leader hanno la sola preoccupazione di compiacere il sentire dominante indulgendo alla demagogia di non dire mai niente che la "gente" non voglia sentirsi dire con un establishment e una classe dirigente, politica e non, complice della deriva populista in cui la politica non sa più né rappresentare, né decidere, né governare perché non sa più offrire visioni e prospettive, limitandosi a porgere uno specchio nel quale l'opinione pubblica si possa riflettere nella sua immediatezza. Si perdono 1000 posti di lavoro al giorno ma si spendono 34 miliardi ogni anno per il settore militare. Ma che ce ne facciamo degli F35 se non abbiamo soldi per le politiche sociali? Ken Loach, il famoso regista di Family life, a 79 anni è tra i fondatori di un nuovo partito. Left Unity, Unità di sinistra, che si propone di unire lavoratori, sindacalisti e ambientalisti per creare una società egualitaria, democratica, e socialista. Si sono riuniti in questi giorni a Manchester. Il gap ricchi poveri per Loach è cresciuto a livelli insostenibili. Londra è città per ricchi, le case hanno prezzi impossibili, scuole e ospedali funzionano sempre peggio. Purtroppo non abbiamo un Ken Loach. Ma abbiamo in compenso... Speranza, nel senso del capogruppo del PD, che definisce non inutili gli F35 e il ministro della Difesa Pinotti, sempre PD, che sugli F35 tranquillizza i militari: state sereni. Certo che l'invito, state sereni non è il massimo della tranquillizzazione e suona vagamente inquietante! Carlo Rubbia, anche lui giovanissimo (80 anni!) in una intervista recentissima su "Repubblica": "Non mi preoccupa la mia morte. Le cose sono e continueranno a essere, resteròà ciò che abbiamo costruito, l'amore che abbiamo saputo offrire, l'amore che abbiamo meritato. Vado avanti come se niente fosse, imparerò quello che ancora riuscirò a imparare".

Un critico cinematografico Callisto Cosulich qualche tempo fa perorava che si conservassero Quarto potere, Ladri di biciclette, La grande illusione, 2001 Odissea nello spazio, tutto Chaplin… in un rifugio, non so quanto metaforico, per custodire anche il cinema tra le prove del nostro passaggio sul pianeta Terra. C'è stata gioia per la vittoria de "La grande bellezza" ma per Stenio Solinas importante critico cinematografico il film è malinconico e decadente,  "epitaffio a ciglio asciutto sulla modernità e i suoi disastri", quasi un referto medico legale in forma artistica di un Paese morto di futilità e inutilità, con una classe dirigente di scrittori che non scrivono, intellettuali che non pensano, poeti muti, giornalisti nani, imprenditori da buon costume, chirurghi da botox, donne di professione "ricche", cardinali deboli sulla fede ma fortissimi in culinaria, mafiosi 2.0 che sembrano brave persone, politici inesistenti. Una fauna umanoide disperata e disperante, scriveva qualche giorno fa Travaglio su "Il Fatto quotidiano", che non crede e non serve a nulla, nessuno fa il suo mestiere, tutti parlano da soli anche in compagnia e passano da una festa all'altra per nascondere il proprio funerale. E' un mondo che non può permettersi neppure il registro del tragico: infatti rimane nel grottesco. E ci è piaciuto un altro film ancora, "Il capitale umano"  (Capitale umano è un ossimoro che evoca patrimoni in denaro accanto all'aggettivo "umano". Rinvia a risorse umane, espressione ingrata da applicare a persone, giacché le definisce come mezzi, così dice il regista Paolo Virzì) con  una storia di capitalismo finanziario selvaggio dove si fanno soldi con i soldi e si annientano sentimenti, amicizie, affetti, famiglie, cultura, vite umane. Anche lì c'é il fallimento del paese, uno squalo fa soldi sulla pelle della gente, un pirata lucra e ruba sugli appalti, un vampiro succhia il sangue ai morti del terremoto. Si rappresenta una cultura inutile e dannosa che si era illusa di chiudere il berlusconismo come fosse una parentesi e non lo specchio, la biografia di una certa Italia che Berlusconi ha solo sdoganato e resa orgogliosa della sua mostruosità, che forse gli preesisteva e forse gli sopravviverà, una cultura purtroppo presente nelle classi dirigenti e in pezzi della società civile in modo trasversale da destra a sinistra che si regge sul silenzio complice di centinaia, migliaia di persone. Diceva Martin Luther King : Non ho paura della cattiveria dei nostri nemici ma del silenzio dei nostri amici". Piero Gobetti nell'Elogio della ghigliottina scrisse che né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi.  

Non c'è nostalgia a fotografare il presente, riflettere sul passato, se serve a fare una previsione sul nostro futuro. Jacques Le Goff, morto due giorni fa diceva che la storia deve dare un nuovo aspetto al passato per farne un trampolino per il futuro e che i monumenti resteranno in piedi ancora a lungo (lunga vita a Pompei !!!) proprio per consentire la trasmissione della memoria. Per Bunuel “una vita senza memoria non sarebbe una vita, non più che una intelligenza senza possibilità di esprimersi non sarebbe una intelligenza. La nostra memoria è cosa coerente, la nostra ragione, i nostri sentimenti. Senza, noi non siamo niente. "La memoria è il nostro bagaglio", dice Ferran Adrià lo chef, "senza memoria non potrei cucinare".E' un esercizio di memoria attivaritornare a  quel “formidabile” periodo di continue trasformazioni che non riguardavano solo la lotta contro il manicomio, un periodo in cui avevamo scoperto di avere in comune con tantissime persone, sconosciute tra di loro e anche disseminate in varie parti del mondo fini, scelte personali e culturali, ideologiche e politiche, valori comuni. Si leggevano le stesse cose, si arrivava alle stesse conclusioni, si provavano le stesse emozioni.  Goffredo Fofi ha scritto pagine bellissime a proposito. Ci eravamo messi il mondo nel cuore e all'improvviso la Storia era entrata nelle nostre esistenze con lo slancio di una sfida alla modernità per mantenere le sue promesse in fatto di giustizia, uguaglianza e libertà. Questa dimensione che vogliamo chiamare affettiva, in modo un po' generico, ma forse efficace, era uno spazio che strutturava una dimensione di autenticità e coerenza. "La scelta di campo sarebbe stata di schierarsi dalla parte degli internati, e di quegli infermieri che erano disponibili a lavorare per una psichiatria che non poteva che negare se stessa, le sue premesse, la sua stessa storia. Poiché una scelta opposta avrebbe comportato non tanto smentire dottrine politiche o amicizie culturali, quanto la propria coerenza di persone, starei per dire di psichiatri autentici, chiamati a curare, ad alleviare sofferenze, a liberare". (Agostino Pirella). Una dimensione allargata e collettiva dove premeva la necessità di un mondo diverso “da quello sconvolto e distruttivo, unico possibile, naturale e immutabile...” (Franco Basaglia).  In quegli anni vi fu la trasformazione di tantissimi che si sentirono profondamente cambiati rispetto a prima. Si viveva tutti i giorni in una vera e propria “atmosfera di formazione” in spazi di incontro e relazione in cui il rapporto con la diversità sfuggiva ad una logica giuridica di inclusione/esclusione per dare vita a una cittadinanza affettiva”.  Una appartenenza che si costruiva e arricchiva dei legami tra tutte le persone che volevano lavorare in modo diverso: quelle che vogliono cambiare se stessi e gli altri, per le quali hanno valore “i residui affettivi contenuti negli sguardi, nei gesti, nel tono della voce, nelle deformazioni e irregolarità rispetto al prevedibile, nella irrequietezza, nel sorriso, nella rabbia e nelle mille altre espressioni che, a poco a poco, impariamo a cogliere, a leggere, a valorizzare quando vediamo nell’altro un complice potenziale” (Luciano Carrino). Affettività che non è solo sentimento individuale ma, investita da una funzione sociale, determina e costituisce la socialità stessa, diventando parte della speranza di trasformazione. “Se nella contemporanea età del terrore le passioni tristi, come paura e angoscia rispetto alla alterità, sono gli affetti più diffusamente manipolati e ingabbiati da diversi dispositivi di potere, nel gioco di potere e resistenza le relazioni affettive possono rivelarsi il collante di una opposizione al dominio normativo” Oggi in questa sala del Castello Giusso ha conferma quanto Teresa Brennan scrive nel libro The trasmission of Affect, in cui richiama chi legge all'esperienza comune di entrare in una stanza già occupata ed essere sorpresi/e dal “sentirne l'atmosfera”, quasi immaginandone una corporeità. Per Teresa Brennan l'affetto si propaga “nell'aria” ed è la sua trasmissibilità intersoggettiva a costituirne la qualità fondamentale.

Disperazione e protesta si mixavano, ma il non sentirsi soli ed essere connessi direttamente alla dimensione sociale ridava entusiasmo e sapore di libertà. Nel frattempo il processo di  liberazione degli internati nei manicomi si agganciava alla più generale lotta di liberazione dei popoli, delle classi e di tutti gli ultimi del mondo.Psichiatria Democratica si muoveva tra questioni epistemologiche (i fondamenti di una scienza nuova), politiche (non più funzionari del consenso istituzionale a coprire una pratica repressiva)  ma anche culturali con la valorizzazione della soggettività dei pazienti e del momento collettivo come verifica e trasformazione della realtà. Era la demolizione pratica di una cultura da un lato e dall'altro un lavoro culturale alternativo (quello che, per qualche ministro, non dà da mangiare!) che produceva socialità, ridistribuiva il potere nelle relazioni e rendeva più civile e colto il nostro paese, la nostra società. Ed è anche poesia: Tommaso Putignano, poeta, sta consolidando il suo “farcela” e ci ricorda che la sua poesia nasce, un po’ come il nostro lavoro, nel rapporto con la sofferenza, esperienza umana fonte di dolore ma anche di radicalità, trasformazione e cambiamento. Forse è anche musica, se musica è come diceva Calvino, leggerezza pensosa. Trenta, cento, poeti italiani sono stati protagonisti di una esperienza, Calpestare l’oblio, contro la minaccia incostituzionale e per la resistenza della memoria repubblicana e anche siamo andati in piazza il 12 Ottobre a difendere la Costituzione. C'è in ogni pezzo del nostro lavoro la volontà di un messaggio che possa cambiare un tassello di mondo e permetta di cogliere e trasmettere l’universo umano nella sua ricchezza. E’ forza di memoria e sentimento perché si rivolge al ricordo, individuale e collettivo, tecnico e politico, culturale e storico, lo invera nella complessità dell’oggi ed è argine al pensiero troppo razionale che vorrebbe dimostrare per esempio che il welfare è solo un costo e non un investimento (spendiamo meno e  meglio il denaro pubblico: per un matto stare in una casa famiglia dove potrà avere relazioni, sentimenti, emozioni, “sane”, costa molto meno che in una istituzione), che si esista solo se conquistati dalla bulimia del mercato,  e che tutto ciò sia banale assistenza e non attenga invece alla Politica, che, non per un “fanatico” comunista ma per Paolo VI, è la più alta ed esigente forma di carità perché sovrintende al bene comune, cioè si occupa degli ultimi.: anni luce dall'antropologia dei faccendieri e trafficanti della salute. Ricordiamo il recentissimo scandalo Novartis/Roche, colossi della impresa farmaceutica che si sono accordati, come due mariuoli qualunque, e spero che i mariuoli non si risentano di questo paragone,  in modo occulto e illecito per ostacolare la diffusione di un farmaco molto economico a vantaggio di uno molto più costoso con centomila pazienti l'anno danneggiati da questo "inciucio" con uno spropositato prezzo pagato per farmaci che curano la maculopati a malattia che può portare a cecità. Il magistrato ha aperto una indagine per "disastro doloso". O Pier Paolo Brega Massone, "nomen omen", ex primario di chirurgia toracica della Clinica Santa Rita, ora chiamata Clinica degli orrori, che non ha esitato per pura bramosia di denaro a fare interventi inutili, eseguiti "sulla base del nulla", mutilando malati anche terminali senza possedere, lo dice l'accusa del Pubblico Ministero, il benché minimo senso della umana pietà. Interventi su persone fragili e in condizioni penose ai quali si toglieva la possibilità di morire con dignità. Ad ogni pezzo anatomico del paziente corrispondeva un rimborso dalla Regione!.

Chi ha fatto o sta facendo esperienza di malattia anche in modo diretto sa che si rischia di essere confinati nella categoria delle non persone con la perdita della dignità intesa come patrimonio di diritti che ne definiscono l'identità quale che sia la sua condizione e il luogo in cui si trova, un fondamento concreto della sua cittadinanza. Dice Brian Good, antropologo medico: "Le malattie non si verificano solo nel corpo, bensì nella vita, vale a dire anche in un tempo, in un luogo, nella storia, nel contesto dell'esperienza vissuta e nel mondo sociale. Il corpo malato diventa agente, pur se confuso, dell'esperienza. Leggo da Franca Ongaro Basaglia: " Pure ho visto anche cosa vuol dire e cosa produce per persone veramente sofferenti, essere parte di un progetto di una speranza comune di vita, coinvolti in una   azione comune dove ti senti preso in un intreccio pratico, intellettuale, affettivo,in cui serietà e allegria si mescolano e i problemi tuoi si sciolgono o fanno parte anche dei problemi di altri con cui li condividi. E allora anche salute e malattia possano mescolarsi con una qualità della vita che sia umana, con legami, rapporti, riconoscimento di sé e dell'altro, complicità nel progetto comune che potrebbe unirci anziché dividere e isolare. Ma se tutto questo è stato possibile, significa anche che ora ricade su tutti la responsabilità di continuare a cercare e, per me, per quelli che sanno che cosa siano stati la forza ed il significato di questo cambiamento, di continuare a testimoniarlo, continuando a metterlo in pratica”. Franca  Ongaro, partendo da una specificità, allarga il fuoco e ci richiama a un dovere, un impegno che non è solo tecnico professionale. E' un richiamo ad esercitare un rigore logico e un coraggio passionale per denunciare la vergogna delle cose incompiute, delle stragi, della corruzione, delle cadute etiche, della perdita dei valori, delle lacune professionali in tutti gli ambiti, e di una burocrazia cieca e sorda ai bisogni di democrazia dei cittadini, malati e no. Pensiamo agli incontri dei cosiddetti grandi della terra che lasciando che la violenza la facesse da padrona nel percorso di risoluzione dei conflitti, non hanno dimostrato volontà e direi capacità e onestà di controllare divergenze politiche, affrontare diseguaglianze economiche e sociali, ingiustizie giuridiche, razzismi, egoismi, tutte le ingiustizie. Avevamo sperato nelle primavere arabe che avevano alimentato speranze di libertà e democrazia, hanno invece ricacciato alcuni paesi dell'Africa e del Medio Oriente verso nuove schiavitù e dittature in un crogiuolo di usurpazioni, oppressioni, dignità umiliate.

E' in questo scenario che apriamo il nostro Congresso di Psichiatria Democratica, asociazione da Franco Basaglia fortemente voluta e con altri fondata. Contro tutte le ingiustizie "urliamo", ultima in ordine di tempo la vergogna della ulteriore proroga per la sopravvivenza degli OPG quegli antri dell'orrore, su cui ci stiamo battendo con competenza, passione, coerenza e reale volontà di chiuderli. Nel contempo abbiamo una infinità di esperienze quotidiane che dimostrano che si può fronteggiare la grave sofferenza mentale e che sono sempre possibili percorsi di autonomia. Queste esperienze stimolano il nostro "patriottismo" antiistituzionale. E' Gustavo Zagrebelsky che usa questo termine che facciamo nostro quando parla di patriottismo europeo rivendicando per l'Europa la consapevolezza orgogliosa di quella parte della sua storia che ha generato tolleranza, diritti civili e sociali, uguale dignità degli esseri umani, amore per scienza e arte, protezione per i deboli, rifiuto di quel darwinismo sociale che, sotto forma di iperliberismo, sta invadendo il mondo. Con lui ci piace citare ancora Le Goff per il quale la missione dell'Europa è quella di avere un ruolo di spicco e una funzione di guida all'interno di un mondo oramai globalizzato. Di patriottico c'è anche l'orgoglio di Marco Rossi Doria, che fu sotto segretario alla Istruzione e  che in un recente intervento su Repubblica rivendica tra le tante cose positive della nostra scuola il fatto che ogni giorno "integriamo nelle nostre classi, in modo sereno e serio, 200mila bambini e ragazzi con disabilità. Nessun altro paese lo fa da così tanti anni mentre tante nazioni ci guardano con ammirazione e vorrebbero imitarci".  Parleremo anche del nostro "Cantiere per la formazione" per una offerta all'altezza della profonda crisi disciplinare della psichiatria e delle distorsioni dei percorsi didattici maggiormente diffusi. Franco Basaglia si pose sempre il problema della formazione dei giovani, coinvolti allora nella decostruzione della  violenza manicomiale, chance unica, per loro e per tutti, di crescita personale e collettiva, agita proprio nel luogo più disumano e antiterapeutico. Là, si disse, si negava e si gestiva, e si costruiva quel sapere pratico che rimetteva in discussione la stessa idea di malattia mentale, le sue radici e il rapporto con l'ambiente intorno, con l'aspirazione a un mondo di autenticità e libertà. Siamo preoccupati e indignati perché "la ricerca e la didattica si sono organizzate nella quasi totalità evitando accuratamente di affiancare i servizi e le organizzazioni impegnate per la riforma occupandosi di tutto ciò che non comporta contaminazione con i problemi reali, con i malati nel loro mondo 'vitale'." Lo ricordava Agostino Pirella (1996), a proposito di uno scritto di Franco per il Congresso Nazionale di Psichiatria Democratica del 76. Ne affermò già allora la incredibile in-attuale attualità.  I contatti con l'attuale esistono ancora e sono inquietanti. segni della crisi della psichiatria ancora irrisolta perché strettamente collegata alla nascita del manicomio e della sua logica, contraddizione che la lacera ancora oggi: essere una pratica e una dottrina (e dunque una scienza?) curativa e terapeutica e quindi orientata verso istanze di liberazione ma essere anche stretta in una griglia istituzionale e legislativa di custodia , controllo e normalizzazione. Ci riferiamo alla Società Italiana di Psichiatria che ha di recente istituito la I Giornata nazionale sulla salute e Sicurezza degli operatori in psichiatria. Si è diffuso e sponsorizzato un questionario sulla violenza e aggressione nei luoghi psichiatrici. Forse il Presidente Sip ha dimenticato ciò che Artaud diceva nel 1925 nel Manifesto della Rivoluzione Surrealista rivolto agli psichiatri: "Quando domattina andrete nei vostri ospedali sappiate che un solo vantaggio avrete, quello della forza!!!". Forse, e senza forse, è qui il nodo, lo zoccolo duro, delle enormi difficoltà che abbiamo a portare a termine la fine vera degli OPG, prima e assieme a tutte le difficoltà pratiche e di segno più schiettamente organizzative. "L'istruzione e la formazione sono le armi più potenti che si possono utilizzare per cambiare il mondo, diceva Nelson Mandela. Noi riproponiamo una sfida non presuntuosa su nodi irrisolti che aprono voragini di riflessione,: "Non esiste un 'dove' fisico, temporale, demografico, sociale, ecc. della 'salute-malattia' mentale: esiste soltanto u n 'dove' istituzionale. Si diventa pazienti psichiatrici solo e per effetto dell'ammissione all'attenzione psichiatrica...non è stipulabile una definizione di 'salute' mentale che sia operativa senza essere arbitraria e viceversa", diceva Maccacaro. Non è la sciocchezza della "inesistenza della malattia mentale" che ci ha "perseguitato" in questi anni quando qualcuno voleva essere "cattivo" con noi ma è in continuità con il concetto di epochè, la "messa tra parentesi della malattia mentale" che Basaglia aveva mutuato dalla fenomenologia di Husserl  dando avvio a una utopia che iniziava il confronto con la pratica. In continuità Pirella, andando oltre la crisi del manicomio, parlava di "istituzione diffusa designante",  allargandosi ad altro: Scuola, Tribunale, Ambulatorio, Servizio, Ospedale generale, "perfino la fabbrica", luoghi dove è pronta la denominazione/designazione, preformata e validata dai livelli di potere in gioco e sullo sfondo incombono il fantasma dell' internamento, la riduzione dei diritti e un pesante stigma sociale di cui anche gli operatori rischiano di restare prigionieri.  Alfonso Iacono, filosofo ed epistemologo, ci ha ricordato più volte che perché una istituzione come l'internamento psichiatrico venisse negata si è dovuto aspettare Franco Basaglia e Psichiatria Democratica. La portata rivoluzionaria delle esperienze esemplari e poi della 180 non è ancora secondo il mio personale parere completamente scritta ed esaurita  perché ha significato negare l'assolutezza della nozione di oggettività e di scientificità della cultura occidentale moderna. E si tratta di una lezione, politica ed epistemologica insieme che va ben oltre i confini della stessa psichiatria e sottolinea la dipendenza della conoscenza scientifica dal contesto sociale.

"Basaglia è un intellettuale di una specie tutta sua, il primo e forse ultimo intellettuale specifico utopico che si sia visto, uno che quasi per paradosso aspirando all'universale ha messo in atto una piccola liberazione particolare e concreta... un intellettuale tra le poche immeritate fortune capitate all'Italia del '900" così chiude Rino Genovese ne "Il destino dell'intellettuale" (Manifestolibri 2013), ripreso sorprendentemente, ma non troppo visto che tout se tien,  da Vando Borghi, docente di Sociologia all'Università di Bologna, ne "L'Indice" di Agosto. Borghi sottolinea che Genovese chiude con una lettura della figura di Franco Basaglia  a cui accosta la necessità di far vivere e circolare quelli che Didi Hubermann chiama "immagini-lucciole", "saperi-lucciole": nessuna distruzione è mai assoluta, la barbarie non procede senza intoppi e vale la pena di tenere in vita dentro e tra noi quei fugaci bagliori nelle tenebre che sono le lucciole, per esempio tutte le nostre esperienze. Quelle fatte tra le altre con il paziente meno istruito e più “semplice”, che ha dimostrato di poter costruire ed usare criteri efficaci di valutazione di ciò che accade, con originalità e con capacità di difendere il proprio punto di vista per migliorare le proprie condizioni di vita e progettare in modo positivo la propria condizione. Ce lo conferma Judy Chamberlin, già paziente psichiatrica poi lucidissima descrittrice della sua stessa condizione  nel libro Da noi stessi, Ed Aldo Primerano,  Roma, 1990):  “...Allo stesso modo le parole dei malati di mente vengono usualmente filtrate attraverso i rapporti degli psichiatri, cui è lecito etichettare come 'paranoide' o 'allucinatoria' qualunque parola del paziente, con la quale siano in disaccordo. Quando i pazienti esprimono sfiducia nelle istituzioni ospedaliere o negli psichiatri, si parla di paranoia. Quando, invece, esprimono accordo con gli psichiatri, nella maggior parte dei casi in seguito a 'trattamenti' dolorosi e debilitanti, si dice che sono 'in contatto con la realtà'. Ma sono gli psichiatri ad essere ciechi di fronte alla realtà che le istituzioni psichiatriche sono dei posti freddi, disumanizzanti e non ha alcuna importanza quanti sforzi disperati (i corsivi sono nostri) i loro pazienti facciano per farglielo capire...”. E ancora: “...Insieme a molti altri ex pazienti, non condivido la fiducia della psichiatria secondo la quale sarà presto trovata una cura per la malattia mentale. Riteniamo che i tipi di comportamento etichettati come malattia mentale siano molto più influenzati dalle condizioni di vita quotidiane delle persone, che dagli squilibri biochimici che si verificano nel loro cervello. Dobbiamo sforzarci di modificare il nostro comportamento quando ci crea disagio e dobbiamo sforzarci aiutare gli altri che hanno bisogno di aiuto, ma dobbiamo anche darci da fare per un futuro in cui non saremo sistematicamente storpiati dalla imposizione di credenze nella inferiorità di alcuni a causa del colore della pelle, a causa del loro sesso, o a causa  del loro modo di esprimere la sofferenza che noi tutti proviamo. In breve, dobbiamo lavorare per eliminare il razzismo, il sessismo, e il mentalismo, che rendono tutti noi persone inferiori”.

E concludo: forse e senza forse tutto ciò è poesia vera perché in ogni poesia vera, come dice Calvino, esiste un midollo di leone, un nutrimento per una morale rigorosa. E’ questa l’eredità che Franco ci ha lasciato e su questa strada dura ma di cui essere orgogliosi continueremo il nostro cammino.

 Luigi Attenasio

Nota: Il titolo è ispirato da una poesia di LuciAnna Argentino