Ma stavolta la città dev'essere coinvolta

di Emilio LUPO e Salvatore di FEDE

La Repubblica 04 luglio 2012 —   pagina 1   sezione: NAPOLI

Le dichiarazioni del sindaco Luigi de Magistris sulle risposte da offrire a cittadini disagiati anche utilizzando un piccolo spazio tra quelli disponibili presso l'ex Albergo dei poveri hanno un doppio merito: 1) Porre finalmente dentro il progetto di una nuova Napoli le soluzioni al disagio che la comunità deve alle persone senza fissa dimora; 2) Riprendere in maniera organica il dibattito sulla destinazione di Palazzo Fuga.

Già una dozzina di anni fa ponemmo all'attenzione, prima come associazione e poi insieme a tante realtà associative e di volontariato militante raccolte sotto la sigla "Comitato per l'Albergo dei poveri», il destino di questa straordinaria struttura ed i suoi rapporti con l'intera metropoli.

Ma nessuno raccolse l'invito che pure rivolgemmo all'amministrazione cittadina di allora, agli intellettuali ed alle forze politiche e sociali.

Dicemmo allora e riproponiamo, qui ed ora, le linee del nostro intervento: «L'Albergo dei poveri deve diventare patrimonio collettivo e irrompere come suo bene nella città. Scompigliando e poi scomponendo deve tornare a unire. Rimanere pure testimone del plumbeo passato, ma provandosia divenire come ponte verso quella stessa città che vi aveva, progressivamente, confinato la sua speranza. Una sorta di riparazione a posteriori.

Un po' illuminista? Possibile. Palazzo Fuga che da mura di costrizione/separazione può diventare finestra aperta dentro la città. E guardare in fondo alle sue viscere: finalmente». Restiamo del parere che quello spazio debba diventare una bella cosa. Dalle molteplici funzioni.

Della quale andare orgogliosi.

Vanto dell'intera comunità. Quale migliore occasione per bruciare il negativismo di maniera che ha soffocato la città? Ci opponemmo decisamente alla proposta dagli amministratori di allora, ovvero di creare in maniera assai generica "la città dei giovani" senza aver avviato nessun confronto. Fummo contrastati subito, le nostre proposte banalizzate. Bisognava parlare d'altro e così in un assordante silenzio, si rigettò nell'oblio quanto chiedevamo. Probabilmente perché partiva dal basso, dagli ultimi e questo non era contemplato dalla città dei lustrinie delle pailette. Ma abbiamo tenuto dritta la barra sui diritti. Senza deflettere.

Si disse: "città dei giovani". E noi eravamo preoccupati per il loro isolamento. Da soli? E per fare cosa? Per costruire - nella notte dei tempi - un mondo disanimato.

Come i manicomi?! Che destinavano spazi separati dal resto dell'umanità e, così, senza la promozione di scambi significativi, si pianificavano mondi oscuri, di violenza, lontani dal sentire comune. I bisogni reali: che sono molti e differenziati.

Per Psichiatria democratica, salute mentale della collettività significa anche questo, piuttosto che dar credito ad una psichiatria delle categorie e delle separazioni che, ieri come oggi, continua a produrre risposte devastanti. Siamo profondamente convinti che il recupero dell'Albergo dei poveri, rimanga una occasione importante e davvero straordinaria per Napoli, un innesco magico e potente per uscire dalle nebbie generaliste e intraprendere il percorso, per rivoltare la città intera.

Un enorme cantiere in cui tirar dentro i disagiati e la memoria, i giovani, le donne, il mondo del lavoro e dell'associazionismo, del sapere e dello sport, dell'artigianato e del volontariato. Un terreno di coltura che sviluppi colonie di iniziative, a catena, un concreto impegno di lotta di popolo, per il rilancio di Napoli. E un attimo dopo attiviamoci per restituire alla città, gli spazi dell'ex manicomio di Capodichino e le caserme e Pianura e rifacciamo il giro.

Viene da chiedersi: ma dov'erano mai i rappresentanti delle istituzioni locali e sanitarie quando a fronte dell'avvio del centro di coordinamento per i senza fissa dimora, di via Pavia (frutto della fatica di pochissimi) la risposta degli enti fu quella di renderlo un luogo zeppo di burocrati e di burocrazia e non già un luogo di ascolto e di proposta di quei gruppi e associazioni che on the road ci stanno veramente? E gli intellettuali, e la cosiddetta società civile e la politica, allorquando la stampa raccontava le tragedie delle strada, della povertà e della solitudine? Cominciare da piazza Carlo III, potrà significare vestire abiti dalle tinte vive, dando corpo a sogni e bisogni concreti, soffocati da quel grigiore che ha attanagliato Napoli per troppi anni. Il piccolo spicchio di palazzo Fuga da destinare ai senza fissa dimora, non è che un segmento del programma organico ed articolato di sostegno e di promozione che, ci aspettiamo, si sviluppi in diverse parti della città.

Insomma, avanti a testa bassa, capovolgiamo l'ottica della programmazione e della rilettura delle necessità e rileggiamole da sotto. Sì, guardiamole dal basso in alto. Vedremo ben altro e gli stessi confini ci sembreranno più vicini.

È l'ora di condividere come Comunità (con la maiuscola) che, per essere veramente tale, deve cominciare da chi non ha certezze, da chi è solo e non ce la può fare. Apriamo un serrato dibattito, a partire dai progetti concreti, con un'unica pregiudiziale: basta con le analisi sine die. Ma si facciano conoscere programmi, tempi di realizzazione ed obiettivi da perseguire. L'occasione che ci è offerta come collettività, proprio dalla proposta di riutilizzo di una delle più grandi costruzioni europee, non dobbiamo perderla. Per fare bene, bisogna saper ascoltare.

Raccogliere gli umori, penetrare nelle pieghe di vicoli e condomini.

Attardarsi nei corridoi e nelle aule delle università. Delle scuole. Sentire il puzzo del bisogno. Condividere difficoltà e speranze, e, così, sconfiggere sia il pregiudizio che il fatalismo. Perché la voglia di riscatto che c'è in questa difficile città, può intorno a progetti realmente innovativi e condivisi, liberare intelligenze e straordinarie energie. Perché sono i colori e le luci che debbono incontrare la gente: luci di un'altra ribalta, variegata e consapevole che le contraddizioni (soprattutto le differenze) non si negano o si rimuovono, ma si includono. Partire dalle persone in difficoltà resta un dovere collettivo.

L'amministrazione cittadina sappia che restituire questo pezzo di città alla gente, è un tassello del puzzle della rinascita, ma soprattutto un ponte tra le varie parti della città che devono riprendere - finalmente - a respirare insieme.

 Gli autori sono segretario nazionale e responsabile Organizzazione di Psichiatria democratica